Scegliere di invertire la folle tendenza alla crescita infinita significa affrontare enormi costi umani. La terribile contraddizione della decrescita.

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Nel mio precedente delirio La crisi, ho analizzato gli aspetti negativi del periodo economico che stiamo attraversando, concludendo che nel mondo industrializzato la carenza di risorse si risolverà in un innalzamento degli steccati tra noi e i diversi, intesi come immigrati, bisognosi, emarginati in genere. Tutto questo con buona pace di chi aspettava la depressione per vedere la fine del sistema neoliberista basato sull’egoismo.

Ma c’è un altro interrogativo che mi assilla: qual è la reale possibilità che nel nostro marcio mondo si instauri un regime virtuoso, basato sulla decrescita? In un’economia che assomiglia a un treno lanciato a folle velocità contro un muro, ora che il treno sta rallentando (e tutti i passeggeri sperano che riprenda presto velocità), se qualcuno tirasse la leva del freno, che cosa accadrebbe?

Ho trovato utili le parole di Giorgio Nebbia, che nel preistorico 2002, all’interno del libro “Le merci e i valori“, scrisse (capitolo V, la bestemmia dell’austerità) che “l’idea della continenza (quella che oggi chiamiamo ‘decrescita‘ n.d.a.) è piena di contraddizioni.”

Quali sono le contraddizioni, secondo Nebbia? Semplice: noi vogliamo, attraverso la decrescita, riportare l’umanità a un utilizzo sostenibile delle risorse. Ma come si può produrre di meno, con “ la popolazione mondiale che aumenta di ottanta milioni di persone all’anno, con tremendi problemi di sottoalimentazione, di sottosviluppo?”

Come possiamo non usare più pesticidi “col rischio di lasciar morire milioni di persone per mancanza di cibo o per malattie?” Come negare acqua, energia e fertilizzanti ai due terzi sottoalimentati della popolazione terrestre?

D’altra parte, proseguire col nostro assurdo stile di vita  significa perseverare “nel diboscamento e l’erosione del suolo e le modificazioni, di origine antropica, della composizione dell’atmosfera e delle acque, avvelenare coi pesticidi tutti gli esseri viventi della Terra, accettare che le valli si trasformino in deserti e che i residui radioattivi contaminino, in trenta o cento anni, tutta la biosfera.”

Sono queste le considerazioni che mi fanno dire che il punto di non-ritorno è stato già superato: tornare indietro significa affrontare perdite immense, paragonabili  a quelle che si verificheranno, immancabilmente, senza il nostro ravvedimento. In più, è probabile che la crisi faccia perdere quel poco di ragione all’umanità, più che aumentarne la saggezza, come ho scritto l’ultima volta.

Vi prego, ditemi che ho torto!