all’interno dell’Intergas veronese si è diffusa questa notizia:
“Sapevate che il grano che mettiamo oggi in tavola è un mutamento genetico dovuto a raggi gamma….?”…. “Sembra che il professor Pecchiai la sappia lunga sul continuo aumento di casi di Celiachia in Italia….. ecc.” riporto la notizia completa di seguito a questo commento di apertura.
Tiziano Quaini dell’Associazione Veneta Poduttori Biologici su mia richiesta ha contattato Gianni Tamino che ritiene uno dei migliori esperti sull’argomento e questa è la sua risposta:
Caro Tiziano,
confermo quanto ho già dichiarato nell’intervista riportata del 2001.
OGM è (dal punto di vista legale) un organismo al quale si è aggiunto un gene estraneo, con tecniche di ingegneria genetica.
Il grano “Creso” ed altri sono stati ottenuti con tecniche di “mutazioni indotte” sui geni esistenti, mediante l’uso di materiali radioattivi (come ad esempio sono anche i pompelmi israeliani). Le due tecniche sono molto diverse e diversi sono gli effetti.
L’uso di radiazioni non rende radioattive le piante, però non c’è dubbio che qualche problema vi possa essere nelle alterazioni di geni diversi da quelli di interesse agronomico, comprese alterazioni del glutine, con effetti sulle persone predisposte alla celiachia, ma non ci sono prove in merito.
Un caro saluto,
Gianni

In conclusione (per ora) sappiamo di sicuro che la varietà Creso è stata modificata in questo modo ma a quanto pare è una pratica che si è diffusa molto negli istituti di ricerca per cui, come scrive Tamino, probabile (direi sicuro) che altre varietà di grano abbiano subito gli stessi trattamenti.
A questo punto diventa importante capire quali per poi in completa autonomia e coscienza decidere se evitarle e sarà il prossimo passo che cercheremo di fare.
Da considerare anche il fatto che le stesse pratiche sono state utilizzate per la frutta, quale?
Per ora vi riporto la mail dalla quale è partita questa ricerca e un articolo del 2001 comparso sul Corriere.

Prendo per spunto l’articolo sul Blog di Beppe Grillo apparso in questi giorni….

Tanto per capire con quali cautele l’uomo metta le mani sui geni in natura:
Sapevate che il grano che mettiamo oggi in tavola è un mutamento genetico dovuto a raggi gamma e un incrocio con un tipo di grano messicano?
Quanti conoscono la vera storia del grano duro? Penso che pochi sanno che in origine, in Puglia, esisteva un grano duro di nome “Cappelli”, unica varietà di grano duro coltivata nel Mezzogiorno d’Italia, apprezzato per la qualità, ma poco produttivo.
Nel 1974 il Professore Gian Tommaso Scarascia Mugnozza indusse una mutazione genetica nel grano duro denominato “Cappelli”, esponendolo a raggi gamma, incrociandolo con una varietà americana. Dopo la mutazione il grano “Cappelli” era diventato “nano”, mostrando differenze, in positivo, circa la produttività e la precocità nella crescita.
Questo nuovo grano duro mutato geneticamente fu battezzato “Creso” e, con esso, si prepara ogni tipo di pane, pasta, dolci, pizze, alcuni salumi, capsule per farmaci, ecc.
Quello che pochi sanno è che, il grano Creso, è responsabile dell’enorme aumento dei casi di celiachia, per alterazione del pH digestivo e la perdita della flora batterica autoctona, che determinano anomale reazioni anche per l’aumento di glutine che quel tipo di grano mutato ha apportato all’alimentazione umana.
E se la celiachia fosse il risultato di decenni di ripetuti e differenti interventi sulle varietà di grano?
Il Professore Luciano Pecchiai, storico fondatore dell’Eubiotica in Italia e attuale primario ematologo emerito all’ospedale Buzzi di Milano, ha avanzato una spiegazione plausibile di questa correlazione causa-effetto, su cui occorrerebbe produrre indagini scientifiche ed epidemiologiche accurate. E’ ben noto che il frumento del passato era ad alto fusto – spiega Pecchiai – cosicché facilmente allettava, cioè si piegava verso terra all’azione del vento e della pioggia. Per ovviare a questo inconveniente, in questi ultimi decenni il frumento è stato quindi per così dire nanizzato attraverso una modificazione genetica. Appare fondata l’ipotesi che la modifica genetica di questo frumento sia correlata ad una modificazione della frazione proteica del grano stesso, in particolare della frazione di gliadina, proteina basica responsabile dell’enteropatia infiammatoria e quindi il malassorbimento caratteristico della celiachia.
“E’ evidente – ammette lo stesso Pecchiai – la necessità di dimostrare scientificamente una differenza della composizione aminoacidica della gliadina del frumento nanizzato, geneticamente modificato, rispetto al frumento originario. Quando questo fosse dimostrato, sarebbe ovvio eliminare la produzione di questo frumento prima che tutte le future generazioni diventino intolleranti al glutine”. E non è da escludere che sia proprio questo uno degli scogli più difficili da superare.
La riconversione della produzione diviene imprese assai ardua e incontrerebbe, senza dubbio, molte resistenze. Dopotutto non esiste ancora una spiegazione al fatto che la celiachia è aumentata in maniera esponenziale negli ultimi anni e l’allarme non accenna a rientrare.
Detto questo, celiaci e non, con che occhi guardate ora un piatto di pasta?
Già in passato si era parlato molto del miglioramento genetico del grano, persino in un articolo apparso su L’informatore Agrario, Verona 40, n.29, 1984 scritto da Bozzini, Mosconi, Rossi, Scarascia-Mugnozza. Ma solo ora è stato ripreso in considerazione come possibile causa dell’aumento dei casi di celiachia in Italia.
L’intervista al Professore è apparsa su AAM Terranova n°193, sulla Gazzetta di Modena del 11/11/06 e su CCNnews un magazine on line–
Simone Bernabè

articolo del 9 maggio 2001 dal sito del Corriere della Sera

«Spaghetti con grano transgenico» Denuncia dell’ Agenzia per l’ energia atomica. Pecoraro Scanio: falso, fanno confusione MILANO – Gran parte della pasta italiana sarebbe prodotta con grano «il cui Dna è stato modificato con l’ impiego di sostanze radioattive». A due giorni dall’ inchiesta del Corriere sulla sicurezza degli alimenti che mettiamo nel piatto ogni giorno, la notizia, lanciata ieri dalla prima pagina del quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung («Grano proveniente dal reattore nucleare» è il titolo scelto per l’ articolo), ha provocato una valanga di reazioni. Il ministro all’ Agricoltura, Alfonso Pecoraro Scanio, smentisce secco: «Un attacco assurdo, un’ informazione manipolata». L’ associazione che raccoglie le grandi industrie italiane della pasta pure: «Siamo sempre stati contrari agli Ogm». Critiche anche dalle associazioni ambientaliste e dei consumatori: «Nel nostro Paese non esiste la possibilità di coltivare grano duro transgenico», liquida l’ articolo Ermete Realacci, presidente di Legambiente. Eppure, il pezzo del giornale tedesco appare ben documentato. «Che si tratti di pompelmi texani, di riso americano o asiatico, di grano duro italiano (quello utilizzato per fare la pasta), la maggior parte di queste piante è stata trattata in reattori nucleari o sui campi di coltivazione con cannoni al cobalto 60 o con raggi X», si legge nell’ articolo e la dichiarazione viene attribuita ad uno che dovrebbe ben sapere cosa dice: David Kyd, portavoce dell’ Aiea, l’ Agenzia internazionale per l’ energia atomica che ha sede a Vienna. Il data base dell’ Aiea depone a suo favore: contiene i dati di 2.252 tipi di piante «nuove» create in tutto il mondo (Italia compresa) con la tecnica della mutagenesi, vale a dire tramite la modifica del loro Dna ottenuta con l’ impiego di neutroni veloci, raggi gamma e raggi X. Il grano italiano, dunque, è un Ogm, un organismo geneticamente modificato? Qualcuno risponde sì. Altri (il fronte più numeroso) gridano allo scandalo. Il ministro Pecoraro Scanio parla di «inaccettabile confusione» fatta dal giornale tedesco, che avrebbe mescolato «una tecnica utilizzata da anni – spiega Pecoraro – con il transgenico, che invece è tutta un’ altra faccenda». Stessa linea per Gianni Tamino, docente di Biologia all’ Università di Padova: «Le mutazioni genetiche sono cosa diversa dalle manipolazioni: la mutazione, infatti, è un cambiamento che avviene nei geni in virtù di un fenomeno naturale, che l’ esposizione alle radiazioni serve ad accelerare. Pratica pericolosa, certo, ma che non ha nulla in comune con gli Ogm». Dunque è scontro. Ma al giornale tedesco resta il merito di aver rispolverato il ricordo di una pratica – quasi del tutto abbandonata, ma in passato utilizzata anche in Italia – che ha per nome mutagenesi. «Una tecnica, utile per selezionare nuove specie di piante, che introduce modifiche nel Dna del vegetale attraverso il bombardamento dei semi con radiazioni ionizzanti (come raggi X e cobalto), altre fonti radioattive, oppure sostanze chimiche», spiega Norberto Pogna, specialista dell’ Istituto sperimentale di cerealicoltura di Roma. Si è fatto in Europa e negli Usa dalla metà degli anni Sessanta fino all’ inizio degli Ottanta, quando sono comparse le prime piante Ogm vere e proprie, ottenute «smontando» il Dna e «rimontandolo» con nella sequenza geni estranei: sistema molto più «sicuro» e anni luce più avanzato rispetto alla vecchia mutagenesi. Figlio della mutagenesi è uno dei più importanti successi italiani in agricoltura: quel grano della varietà «creso», esportato in mezzo mondo (più di un quarto del nostro grano deriva da qui) che deve all’ «irraggiamento» nucleare i 40 centimetri in meno in altezza che ne hanno fatto la fortuna. A differenza della pianta «originale», infatti, questo grano reso nano della distruzione di un gene (il gene che regola la sintesi dell’ ormone della crescita) è entrato nelle grazie degli agricoltori perché non si ripiega su se stesso e quindi è più facile da mietere e produce di più. «La tecnica con cui si creano gli Ogm, così come oggi noi li intendiamo, è molto diversa dalla mutagenesi. Ma nella sostanza cambia poco: il risultato è sempre un organismo con il Dna modificato», dice lo specialista Pogna. Danni per la salute? «Nessuno: dopo la modifica del Dna, le radiazioni non lasciano traccia», chiude. Ma Legambiente chiede garanzie: «E’ urgente che si attivino subito tutti gli enti competenti per dare corrette informazioni ai consumatori». Daniela Monti dmonti@rcs.it
Monti Daniela