Fa la cosa giusta, l’evento di Milano di questi giorni, è sempre meno mostra di buone pratiche di consumo/produzione, e sempre più fiera in cui le multinazionali promuovono la loro produzione ‘green’. E i GAS sono sempre più insofferenti…

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Tutto nasce da una mail arrivata alla lista nazionale GAS (Gruppi di Acquisto Solidale) e dalle due successive risposte. La questione sollevata è dibattuta da tempo e per ora non trova soluzioni che siano in grado di accontentare tutti, ma vale la pena rifletterci sopra.

la mail:

Cari amici , osservando attentamente la lista dei produttori e sponsor presenti alla manifestazione FA LA COSA GIUSTA MILANO del 25-27 MARZO  saltano all’occhio alcuni marchi che di locale o  di piccolo hanno ben poco come PEUGEOT o PHILIPS  e produttori come RICOLA e LINDT che di km0 e artigianale non hanno nulla.

Varrebbe la pena di andare a vedere nella GUIDA AL CONSUMO CRITICO del Centro Nuovo Modello di Sviluppo i loro fatturati  e gli investimenti in publicita’ nelle reti televisive. Sorge spontanea una domanda: quali sono i criteri con cui gli organizzatori selezionano le domande di sposorizzazione e dei produttori? Ma se la Nestle’ chiedesse di partecipare con i suoi prodotti biologici come il latte per lattanti bio o i suoi cioccolatini fairtrade come sarebbe vista la cosa ?

Negli ultimi anni Fa La Cosa Giusta e’ cresciuta  vistosamente e probabilmente sono aumentate anche le spese e gli oneri della gestione; forse sarebbe il caso di ripensare ad un nuovo modello di sviluppo di queste  grandi manifestazioni che in questo modo rischiano  di annacquare lo spirito iniziale per cui sono sorte.

poi arrivano due risposte, la prima:

.. forse pero’ questo tipo di manifestazioni non sono più rivolte al movimento, ma rappresentano una “vetrina” (passatemi il termine, utilizzato in senso strettamente tecnico) rivolta ai consumatori tradizionali, che dunque parla il loro linguaggio. rispetto ai nostri metri di giudizio possono apparire iniziative meramente “commerciali” o “ambigue”; forse pero’, viste con gli occhi dei consumatori “normali”, possono rappresentare un primo (per quanto timido) incontro con scelte “altre”; per molti produttori (almeno quelli che si possono permettere il costo dello spazio, che mi risulta essere piuttosto elevato) puo’ essere una buona occasione pronozionale. o no? mah

e la seconda:

ho letto gli altri interventi e concordo appieno con la difficoltà, come Socio GAS, di sposare la posizione dell’organizzazione di FLCG.

Già da due anni non vado proprio perché l’ultima volta avevo visto alcuni banchetti di aziende di acquisti on-line che si offrivano di cercare i fornitori per conto dei GAS e, di conseguenza, di farsi intermediari. Ritengo che sia una contraddizione in termini e non mi vede per nulla d’accordo.

Ovviamnete, gli altri sono liberi di trovare le mediazioni che ritengono più giuste, come la necessità di incontrare alcuni produttori che trovano solo quello come buon punto di visibilità. Ma vedrai che, man mano che passeranno gli anni, succederà come è successo per lo SMAU (di cui ho lunga esperienza per averlo frequentato da espositore nelle aziende dove lavoravo, dal 1985) in cui i costi sono aumentati enormemente e, d’altra parte, mancare sembrava un segnale di difficoltà economica dell’azienda!

Alcune aziende medio piccole si sono indebitate pesantemente e, con le difficoltà economiche che sono poi sopraggiunte, sono andate a chiudere. Quelli con una dirigenza sana si sono organizzati e, piuttosto, hanno organizzato presentazioni nei loro uffici, durante il periodo dello SMAU, salvando “capra e cavoli”.

Per quanto riguarda le scelte, a parte lo specifico di questa mostra, le tue considerazioni che sono in bilico tra l’esigenza di mostrarsi al mercato ufficiale e rimanere micro-movimento mi ricordano le stesse problematiche subìte dal commercio equo solidale quando ha sposato la presenza nella Grande Distribuzione (anche questa, mi sembra che non abbia bisogno di dimostrazioni, è una contraddizione in termini!).

In questo modo, anche se il commercio equo e solidale ha aumentato la sua visibilità, le relative botteghe che davano anche spazio a piccole comunità locali e che avevano spazio per poter sopravvivere con l’esclusiva dei prodotti, sono entrate in crisi. Tant’è che è stato necessario chiedere un sostegno economico (prima a Banca Etica, che però non aveva titolo per sostenere progetti di “sofferenza economica” e poi con una “banca armata”!! Se non è una ultra-contraddizione in termini anche questa!).

Insomma, per tirare una mia conclusione, penso che i piccoli movimenti, se non riescono a camminare con le loro gambe, non devono provare a correre o saltare ma, piuttosto, devono organizzarsi bene per stabilizzarsi. I micro-movimenti hanno una loro dignità, e la mantengono, proprio e solo se rimangono non catturabili dalle logiche dei grandi numeri. Non bisogna aver paura di “non apparire” ma, piuttosto, bisogna aver paura di vendere/svendere la dignità di un movimento che ha cuore, gambe e testa per essere contenuto di una società nuova. È sulla pazienza in merito ai tempi medio-lunghi che si giocherà il risultato di una base per una nuova civiltà.