L’altra faccia della viticultura. Critica a un falso strumento per la tutela del territorio e agli scempi che comporta.

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Qualcuno crede che la viticoltura sia un bene per la montagna. Vorrei illustrarvi una diversa situazione.

Nella provincia di Verona, nella nota Valpolicella (ma non solo) si stanno attrezzando enormi porzioni di territorio adattandole all’aumentata produzione di vino, con riconfigurazione delle colline ad una disposizione esageratamente intensiva.

Questa scelta di produzione si basa non più sugli storici terrazzamenti sostenuti da muretti a secco, ma data la pretesa di sempre più spazio, si insinua anche verso nuove zone mai state territorio di vite.

Come molti sono convinto che un territorio non possa soggiacere ad una monocoltura, anche se noto per i suoi eccellenti vini: sia per i fenomeni di globalizzazione che stanno riducendo i margini del vino, sia perché così spremuto avrà difficoltà a ripartire nel prossimo futuro quando la vite non riscuoterà il successo attuale.

La diffusione é stata ottenuta comperando quote in altre zone (vedi le famigerate quote latte), ma é andata a scapito di molte altre colture.

Inoltre, poiché i nuovi impianti di vite hanno bisogno di molta acqua, si é attuata una captazione in profondità che con la cattiva manutenzione dei muri a secco -se non addirittura con il loro abbattimento- è responsabile del sempre più magro patrimonio idrico.

Un altro aspetto negativo dei nuovi impianti è che sono realizzati con fili metallici, dimostratisi dannosi per l’avifauna. Dannosi poiché nel periodo nel quale non sono ricoperti di foglie appaiono dall’alto come specchi d’acqua, ingannando gli uccelli migratori che nel tentativo di planata si feriscono.

Forse l’ intensività della coltivazione in Valpolicella non è nemmeno utile agli stessi coltivatori visti i costosi interventi nel riassetto territoriale. Non vorrei che tra pochi anni questi si trovassero in difficoltà dal momento che il vino rimane comunque un bene voluttuario.

Quello che è certo è che a trovarsi in difficoltà sono già da ora coloro che attuano piani di agricoltura più rispettosa del panorama territoriale, in quanto i pochi fondi comunitari (anche per progetti minori) riguardano o sembrano fatti ad hoc per le varie strade del vino, quindi sempre a “quel settore”si rivolgono.

Per ultimo vorrei richiamare l’attenzione sull’acqua e sulla centralità del suo ruolo. La consapevolezza che si è raggiunta ci dice che il territorio ha bisogno della cura dei percorsi naturali dell’acqua e non di pratiche eccessive o inutili (dove inutile sta per dannoso).

E semmai su quelli improntare uno “sviluppo” che tenga conto dell’acqua assecondandone il carattere e magari utilizzandola come metro campione.

A me il vino piace, nonostante tutto, ma è nella botte piccola che sta il migliore.

Sergio Bonato
associazione ..ERGO..