L’animale uomo è guidato dall’intelligenza? Oppure quella che così definiamo altro non è che un comportamento, se non in toto, almeno in parte indotto? Affrontare i problemi significa sempre agire con intelligenza, e se sì, quale?

 

Alcuni studiosi individuano almeno nove tipi di intelligenza negli umani (a seconda delle zone cerebrali interessate) e ne attribuiscono una di tipo evoluzionistico-adattivo alle specie animali.

Senza fare una scala di valore assoluto e non paragonando l’intelligenza animale a quella umana (cosa fuorviante) ma semplificando, si può dire che ne esista una di tipo logico-analitica e una di tipo creativo.

E guardando la cosa naturalisticamente: una definentesi “innata”, e una adattiva-raffinata. La prima si manifesta quanto più l’ambiente è stabile e c’è decantazione dei comportamenti. La seconda quanto più è veloce l’ambiente nei cambiamenti stessi.

E’ ben lontano da me, come già detto, paragonare l’uomo all’animale, anche se a volte si sono utilizzati metodi più vicini ai comportamenti animali che a quelli logico-matematici.

Per concretizzare il ragionamento, facciamo l’esempio di come i biotecnologi consiglino di agire in presenza di aumento del bisogno di produzione di frumento avendo a disposizione un territorio limitato.

Nel tentativo di aumentare la produzione, i sistemi biotecnologici introducono delle variazioni nel genoma della pianta affinché questa resista e possa crescere con meno acqua, o altro caso possa fruttificare con acqua con un alto grado di salinità, o ancora resista all’attacco di parassiti.

Questo è un modo intelligente di affrontare il bisogno? Non ho difficoltà a rispondere si. Ma ”QUALE” intelligenza è a supporto di questa impresa? E qui pongo il dilemma se questa sia la maniera -PIU’-intelligente di affrontare i cambiamenti.

Ci si è domandato se la richiesta di aumento derivi da un bisogno primario? Oppure: ci si è chiesto se invece non sia in funzione di trasformazioni alimentari industriali, che poco hanno a che vedere con i bisogni reali di cibo?

Non volendo pensare male ritengo che entrambe le esigenze siano legittime. E poiché il proponimento di questo scritto è la ricerca dell’intelligenza, e non l’analisi politica, dirò che a seconda del modello di sviluppo che si è creato si sarà poi indotti ad agire.

E di conseguenza a privilegiare una via sull’altra. Il che significa che se si procede per la seconda si terranno più in considerazione le esigenze industriali: se invece si andrà verso la prima ci si potrà chiedere ad esempio, se sia meglio agire sulla popolazione.

L’agire con il criterio del condizionamento della pianta non va a modificare le cause che hanno determinato il fenomeno: si limita ad agire alla fine della catena. E questo è un comportamento intelligente e forse anche raffinato ma tipicamente animale.

Io mi rendo conto che i biotecnologi non hanno la misura dei comportamenti generali, ne la colpa, però di fatto ci tengono ad essere, o sono il prodotto, di una logica interventista nella gestione delle risorse .

E data l’estensione di questo modo d’impostare gli interventi, ritengo che l’uomo sia indotto ad agire, ed agisca, in due maniere distinte.
Da una parte essendo dotato degli strumenti intellettuali per prevedere i fenomeni (che costituisce a mio parere la sua maggior dote), formula scenari e ne anticipa gli sviluppi: dall’altra agisce sempre più alla periferia dei fenomeni, come se non possedesse tali strumenti.
Anche gli animali spessissimo adoperano tecnologie o tecniche specifiche ed addirittura strategie per il loro mantenimento e salvaguardia, ma non per questo a loro si attribuiscono facoltà di visione complessiva.

L’uomo moderno ha mantenuto parte di queste facoltà e pertanto mi sembra si possa fare una distinzione tra un ”uomo-tecnologico” e un “uomo-preveggente”.

Ci si può comportare come il primo, ma con la supervisione del secondo, il che vuol essenzialmente dire avere la percezione e l’accettazione della propria natura animale.

Bisogna amarla “la nostra natura animale”, il che non vuol dire esserne schiavi.

E poiché, a mio parere, non ne comprendiamo ancora tutti i risvolti, bisogna ritornare ad essa e studiarla, accettarla ed anche copiarla. Il che fondamentalmente significa dialogare con essa e non ergersi a decisori e padroni del mondo.

Per concludere, più che alle interpretazioni che noi ne diamo, si deve sempre fare riferimento ai caratteri oggettivi delle cose.
Significa: che essendo prodotti di un sistema e non promotori dello stesso, non dobbiamo ritenere di essere intoccabili, quindi padroni e decisori primi della realtà. Innanzi tutto a partire dalla (facilmente comprensibile a tutti) limitatezza delle risorse.

Ed è proprio dalla presunzione di poter disporre di tutto che si dimostra invece la nostra fragilità. Fragilità che ci avvicina di più alla natura animale.

E come un ironico contrappasso: più siamo animali meno ce ne accorgiamo di esserlo; più ammettiamo di esserlo e meno avremo bisogno di esserlo.

Sergio Bonato