Debito catenaLa nostra opinione sull’iniziativa “Debito pubblico: decido anch’io” promossa in tutta Italia dal CNMS.

 

Il Centro Nuovo Modello di Sviluppo, con Francesco Gesualdi, sta diffondendo in tutta Italia un’iniziativa chiamata “Debito pubblico: decido anch’io“, volta a far partecipare tutti alle decisioni che riguardano il debito pubblico. L’ultimo incontro, dalle nostre parti, è stato a Villafranca l’11 gennaio.

Nel documento “kit del debito pubblico”  è possibile leggere in dettaglio la proposta. In sintesi, si tratta di organizzarsi in gruppi locali per diffondere la consapevolezza che è possibile:

  • rendere inefficaci le armi di ricatto della finanza internazionale sui governi nazionali
  • congelare gli interessi dovuti (ovvero non pagare più gli interessi)
  • ristrutturare il debito (ovvero contrattare con i creditori uno sconto sul capitale da restituire).

Più che stimolare un dibattito, Gesualdi propone una soluzione pre-confezionata, ma, al di là di questo, ci siamo chieste tra di noi se valesse la pena aderire e che importanza dare all’argomento. Ecco cosa ne è uscito.

 

1. Critica di opportunità

Impegnarci a  fondo in una campagna di tipo economico-finanziario non ci convince. Prima di tutto crediamo nell’essere umano, nella terra che ci ospita e crediamo sia giusto dare meno importanza ai soldi e all’economia, che alla fin fine è l’istanza di fondo che come Matonele ci ha accomunate nel percorso fatto fino a ora.

In sostanza, ci siamo chieste, di fronte ai ghiacciai che si sciolgono, alle guerre per il petrolio, per l’acqua e addirittura per il coltan, alla deriva consumistica del genere umano, ha davvero senso impegnarsi per la questione del debito pubblico nostrano?

Siamo d’accordo sul fatto che le politiche sociali sono condizionate da interessi finanziari: è un’ingiustizia inaccettabile. Ma dobbiamo distinguere: nei paesi del sud del mondo, dove la situazione è veramente drammatica, la pressione sul debito toglie il necessario per vivere, qui da noi molte famiglie faticano ad arrivare alla fine del mese, ma abbiamo tutti auto, smartphone e altri gadget inutili, frequentemente cambiati. Non è da qui da noi che dovremmo partire a ripudiare il debito.

 

2. Critica etica

Ci chiediamo: se i creditori (grossi squali della finanza, banche, hedge fund) andavano bene quando ci hanno prestato i soldi, è corretto fare i conti con la loro moralità solamente quando questi soldi li rivogliono indietro?

Siamo d’accordo che quello che ci fa andare in deficit è la spesa per interessi. Però contestare gli interessi implica, a nostro avviso, contestare il sistema capitalistico di cui sono espressione e da questo punto di vista noi saremmo d’accordo.

Questa campagna, invece, non critica gli aspetti deteriori del capitalismo e del consumismo. A questo punto temiamo che la posizione verso questa questione per la maggioranza dei nostri concittadini sia del tipo: “vogliamo il capitalismo, ma solo la parte in cui si spendono i soldi. Per favore, non rifilateci la parte in cui i soldi si restituiscono con gli interessi, non ci piace.”

 

3. Critica politica (o di potere)

La proposta di Gesualdi, vedi pagina 26 del kit, si riassume in questi punti:

  • abbattere gli interessi
  • abbattere il capitale
  • risanare il bilancio pubblico.

Tutto questo presuppone l’esistenza di un capitalismo corretto e di una classe politica onesta e capace. È verosimile? Molto semplicemente noi riteniamo di no.

E qui ritorniamo agli esseri umani, perché è da li che si parte, la classe politica tanto criticata da tutti a nostro avviso avviso non è altro che la rappresentazione della cultura imperante. Come si può pensare di poter cambiare se non cambia la cultura di un popolo intero su cui si basano le scelte economiche e politiche?

 

 4. Critica sociale

Riportare il debito pubblico a un livello equo implica annullare una parte del debito. Questo atto danneggerebbe non solo gli squali della finanza, ma anche semplici famiglie con una parte dei loro risparmi in conti correnti bancari, in fondi o assicurazioni o in titoli di  stato. Nella pagina 12 del kit si vede che il debito pubblico italiano è al 60% detenuto fra banche italiane, assicurazioni o fondi e singole famiglie. Il drastico ridimensionamento del debito manderebbe in rovina milioni di piccoli risparmiatori, senza aver risolto la questione morale nei centri di spesa del potere. Non la riteniamo un’opzione accettabile.

 

 5. Sovranità monetaria?

Nei vari documenti si accenna alla sovranità monetaria, ossia la situazione in cui lo stato si appropria del potere di battere moneta sottraendolo ai banchieri. Non facciamo il tifo per i banchieri, inutile dirlo, ma la questione del potere monetario è complessa.  I banchieri, i galantuomini che hanno imposto il governo Monti, detengono la sovranità monetaria al posto dello stato. Ma come l’hanno usata fino a ora? A noi pare che, soprattutto da quando c’è l’euro, il sistema abbia retto, assicurando pace e prosperità. Pure troppa, visto che questa si è accompagnata a un consumismo selvaggio e alla devastazione dell’ambiente.

Spostare un potere dalle mani di persone bieche (i banchieri), e metterlo nelle mani di persone già in possesso di un potere enorme, per di più spesso incapaci se non addirittura disoneste (i politici): questo a nostro avviso implica il concetto di  “sovranità monetaria”.

Aumentare l’emissione di moneta ci esporrebbe al rischio di trovarci in futuro in una situazione tragica, economicamente e ambientalmente, a causa della conseguente ripresa di un consumismo forsennato e suicida. Per questo, a nostro avviso, non ha senso auspicare il controllo dell’emissione della moneta in mano alla politica. Non vediamo altre vie di uscita se non in un cambiamento di stile di vita che presuppone meno consumi e equità, in altre parole sobrietà.

 

6. Conclusioni

Il lavoro da fare è molto più profondo e lungo che non la correzione delle storture più evidenti del capitalismo. Il rischio è far credere alle persone che tutto sommato il sistema attuale, depurato da quello che non ci piace,  vada bene.

Per noi Matonele la critica si estende al capitalismo nel suo complesso, ed è più che evidente che, in questo senso, la campagna di Gesualdi non ci basta.

Purtroppo l’umano odierno culturalmente non si discosta da un bambino che pretende nient’altro che la prossima dose di consumismo e si adira se la vede allontanarsi. La nostra visione appare di ancor più difficile attuazione di quella di Gesualdi.