I Gruppi di Acquisto Solidale veronesi (GAS) – La filiera del pane Dal numero di dicembre 2010 di Verona In. http://www.veronainblog.it/wp/2010/12/23/i-gruppi-di-acquisto-solidale-veronesi-gas-la-filiera-del-pane/

L’ultima frontiera dell’economia solidale scaligera riguarda la messa a punto di una filiera del tutto autoctona per l’alimento quotidiano per eccellenza: il pane.

Che lo scambio commerciale tenda al mutismo lo comprendiamo ogni volta che abbiamo a che fare con un distributore automatico oppure quando in un negozio paghiamo con la carta di credito: i prezzi sono dati dal cartellino; i margini di contrattazione assai limitati o inesistenti; la transazione di solito si risolve con un gesto e un cerimoniale piuttosto scarno. Sembra interessare poco chi abbia prodotto il bene che viene acquistato e come sia stato prodotto. All’infuori del prezzo, tutte le altre informazioni restano sullo sfondo.

Il meccanismo è noto fin dall’antichità: lo troviamo nelle cronache dello storico greco Erodoto (484-425 a.C.) quando descrive la forma di commercio “muto” che presiedeva agli scambi tra cartaginesi e popolazioni libiche al di là delle “Colonne d’Eracle” (l’attuale Stretto di Sicilia). Lo scambio commerciale ha certamente rappresentato nella storia un formidabile moltiplicatore di “contatti” tra popoli, permettendo di bypassare le differenze linguistiche e culturali. Ma il “dolce” commercio, come i commissari britannici intendevano il “pacifico” fluire dei traffici di zucchero e spezie tra il centro dell’Impero e le colonie delle Indie orientali, è rimasto per lo più un ideale sulla carta, come dimostrano le “guerre dell’oppio” contro la Cina per il riequilibrio della bilancia commerciale inglese del 1834 e del 1864 e i vasti movimenti di asservimento di contadini, migrazioni forzate che caratterizzano la storia moderna dell’occidente fino agli attuali processi di sfruttamento della manodopera del Terzo mondo.

Tutto questo per dire che il mondo dell’economia solidale non rappresenta soltanto una moda o uno stile di vita, ma una filosofia e una pratica della produzione e dello scambio di beni. Beni che non sono semplici merci, in quanto la filiera tiene conto dei reciproci rapporti tra produttori e consumatori in una logica che non è più meramente mercantile ma prevede l’attivo coinvolgimento delle parti. E la reciproca comunicazione.

Negli ultimi quindici anni anche il territorio scaligero ha visto una lenta ma costante crescita dei gruppi di acquisto solidale (Gas) che dalle funzioni più semplici di gruppi di acquisto di frutta e verdura sono passati a organizzare forniture via via più complesse, tra le quali anche pasta, riso, intimo in cotone biologico, calzature e abbigliamento. Tutti prodotti realizzati secondo i criteri del biologico, ma che in certa buona misura vengono “importati” dalle province vicine (Padova, Modena, Torino, Novara).

L’ultima frontiera dell’economia solidale scaligera riguarda invece la messa a punto di una filiera del tutto autoctona per l’alimento quotidiano per eccellenza: il pane. Da ottobre è, infatti, attiva la “filiera del grano” che mette a disposizione a prezzi contenuti farine e pani su tutto il territorio provinciale. La filiera è il risultato di un progetto sperimentale incubato, non senza difficoltà, per quasi due anni e che vede il coinvolgimento di mezza dozzina di produttori tra coltivatori, mugnai e fornai che lavorano secondo le metodologie biologiche. Tra gli altri Albano Moscardo – produttore biodinamico di mele, uva e cerali –, famoso per essere uno dei pochi a utilizzare nei campi la trazione animale. Oppure l’Antico Mulino Rosso di Buttapietra, che riserva due macine recentemente restaurate esclusivamente per la lavorazione di cereali provenienti da agricoltura biologica. «Siamo partiti a settembre con una prima macinatura di 18 quintali di grano – spiega Antonio Nicolini, responsabile di Intergas, organismo che riunisce i 34 Gas del territorio – sei dei quali vengono comprati dai Gas come farina e 12 quintali che vengono usati per la panificazione che avviene due volte la settimana».

Ogni sette giorni in media vengono prodotti e venduti 120 pani, a cui va aggiunta l’attività di panificazione domestica che avviene con la farina acquistata al mulino. Si tratta di pagnotte da 750 grammi di farina semi-integrale ottenute con lievitazione acido-naturale. Quando le scorte di farina terminano, si passa a una nuova macinatura. A ritardare la partenza della filiera qualche mese prima era subentrato un ostacolo relativamente inaspettato: gli organizzatori dovevano assicurare ai coltivatori che tutto il grano sarebbe stato comperato, perciò hanno chiesto alle famiglie dei Gas di programmare il loro fabbisogno. Ma la gente non è abituata a pianificare. Anche quella più avvertita e sensibile alle tematiche della sostenibilità sociale e ambientale è abituata all’offerta virtualmente illimitata del mercato. Si esce di casa e si compra giorno per giorno tutto quello di cui si ha bisogno. Così la partenza della filiera era stata rimandata. Ma gli organizzatori non si sono dati per vinti: «Abbiamo chiesto ai produttori di fare uno sforzo, assicurandoli che tutta la produzione sarebbe stata comunque assorbita o dal mulino, per farne farina, o dal panificio per ottenere i pani» aggiunge Nicolini. Il panificio in questione è il Laboratorio Ceres di Verona, famoso per trattare materia prima proveniente da agricoltura biologica.

Un secondo ordine di problemi nell’organizzazione della filiera ha riguardato il tipo di farina e pane da produrre. «Per semplificare abbiamo optato per una farina semi-integrale, anche se tanti avrebbero preferito quella integrale. Se lo sviluppo della filiera ci permetterà di farlo, più avanti differenzieremo la produzione in questo senso» dice Nicolini. Forse può apparire strano, ma gli organizzatori non hanno nemmeno preso in considerazione la produzione di farina bianca che, stando alle abitudini di consumo prevalenti, potrebbe incontrare il gusto della maggioranza dei consumatori. Scelta comunque ponderata, dal momento che la farina semi-integrale incontra il gusto delle famiglie aderenti, perché in questo modo vengono mantenute anche le proprietà naturali del grano. La farina bianca viene infatti ottenuta attraverso un processo di raffinazione lungo il quale vengono scartate tutte le parti del chicco di grano tranne una, l’endosperma, mentre la farina integrale e semi-integrale mantiene tutte le parti del chicco. “Quando è possibile – si legge nel sito della filiera – occorre privilegiare preparazioni a base di farine integrali o quantomeno semintegrali, le sole in grado di fornire un apporto glicidico, lipidico e proteico bilanciato, con, in aggiunta, una significativa presenza di vitamine, minerali e oligoelementi”. Una terza questione ha riguardato il prezzo. La filiera del grano è organizzata in modo tale da garantire la “giusta” remunerazione ai vari anelli: dai coltivatori, al mugnaio, ai panificatori, certamente superiore ai margini che il mercato riserva di norma ai coltivatori e ai trasformatori. Il prezzo è stato fissato a 2,55 euro a pagnotta esclusa la remunerazione del negoziante, determinata in quota del 20 per cento.

Al pubblico quindi il pane equo e solidale costa 3,06 per pagnotta, con rilascio di regolare scontrino fiscale. Al chilogrammo fanno circa quattro euro, una cifra nettamente inferiore rispetto ad altri pani biologici alla moda, come il pane di Kamut, che arrivano a costare anche a 6 euro al chilo. La filiera del grano si pone, infatti, in antitesi con la mercantilizzazione a cui sono state sottoposte anche le produzioni biologiche in seguito all’affermarsi, anche in questo settore, di catene di grande distribuzione che impiegano metodi di commercializzazione del tutto simili a quelli di mercato. «Siamo una realtà ancora piccola ma non di nicchia – conclude Nicolini – in quanto restiamo aperti a nuove adesioni grazie agli incontri che periodicamente organizziamo nei Gas di tutto il territorio». La differenza rispetto al biologico “commerciale” risiede proprio nella partecipazione: nei Gas si prende parte alle riunioni, si conoscono i produttori e i metodi di produzione; si prende coscienza delle proprie abitudini di consumo. In breve, tutti gli aspetti della filiera che nello scambio commerciale vengono messi tra parentesi, obliterati, nei Gas vengono esplicitati e discussi, con gran vantaggio di consapevolezza.

I gas, i gruppi di acquisto solidale I Gas (gruppi di acquisto solidali) si diffondono sul territorio nazionale a partire dagli anni Novanta e a metà dello stesso decennio cominciano a prendere piede anche nella provincia scaligera. Oggi il territorio veronese ne conta 34, con circa 800 famiglie coinvolte. I più numerosi sono quelli della Valpolicella (Gaspolicella) e di Quinzano, che contano ciascuno più di 100 famiglie aderenti. Negli altri la partecipazione si attesta in media sulle 25 famiglie ciascuno. Le aziende agricole e/o di trasformazione coinvolte sono più di cinquanta, in genere raccolte sotto l’Associazione veneta dei produttori biologici (Aveprobi). Nei Gas è possibile acquistare farine, cereali, pasta, riso, verdura, agrumi, formaggi, carne, prodotti da forno, olio, caffé, zucchero, vino, detersivi, calzature, abbigliamento. Tutti prodotti secondo i criteri del biologico e dell’economia solidale che sono: rispetto dei lavoratori coinvolti nella produzione; filiera corta, giusto prezzo, rispetto per l’ambiente. «L’idea di base è di costruire un sistema economico che non vada a impoverire il Sud del mondo e questo si ottiene a partire dal cambiamento del nostro stile di vita – spiega Nicolini – su questa idea originaria si è poi sviluppata anche la questione ambientale ma il nocciolo rimane lo sguardo critico sulla produzione e il tentativo di instaurare forme di collaborazione tra produttori e fruitori».

Far parte di un Gas richiede una partecipazione attiva e un minimo di capacità organizzativa che comprende, ad esempio, l’abilità di usare il computer e navigare in internet (perché è con la posta elettronica che i membri di un Gas tengono i contatti e comunicano gli ordini); la partecipazione alle riunioni; un atteggiamento propositivo e solidale rispetto ai problemi che nascono strada facendo e la conoscenza diretta della filiera. Requisiti che non devono tuttavia spaventare: «Fare la spesa on-line fa risparmiare un sacco di tempo e grazie alla divisione dei compiti le incombenze organizzative vengono suddivise tra tutti i partecipanti» dice Gloria Testoni, una attivista del Gaspolicella. In pratica funziona così: per ogni prodotto trattato dal Gas si individua un responsabile che si occupa di tenere i contatti con il produttore, raccogliere gli ordini degli altri aderenti e ritirare la merce.

Il prezzo non è il primo dei problemi che viene preso in considerazione dai Gas ma, mano a mano che questa pratica prende piede, si raggiungono “economie di scala” che consentono di abbattere il costo delle produzioni. «Quando il Gas diventa troppo grande si rischia di disperdere le relazioni – avverte Nicolini – ragion per cui in Valpolicella abbiamo deciso di suddividerlo in cinque zone, ognuna con un suo gruppo che si riunisce una volta al mese». Da sottolineare anche che i gruppi non sono tra loro isolati. L’intergas è l’organismo che li raggruppa e l’insieme formato con i produttori e comitati del territorio definisce un “distretto” di economia solidale. Fino a oggi questo mondo si è affidato al passaparola e alla pubblicità in rete. Scelta consapevole, rivolta a evitare le attenzioni dei grandi circuiti di mercato ai quali potrebbe cominciare a fare gola il fermento e il giro di denaro che si registra attorno a queste iniziative. Un Gas piuttosto consistente e ben strutturato fa un fatturato a cinque zeri.

Michele Marcolongo